Parole

Un ultimo ricordo, vivo e forte. Quando ritrovò, in mezzo a un mucchio di documenti, il suo riconoscimento ufficiale di partigiano combattente ferito, lo vidi fortemente emozionato, con gli occhi lucidi. In quei momenti, anche a me sembrò di vivere, per qualche minuto, quella sua stessa grande emozione: vedevo il suo sguardo, il suo volto; vedevo il suo pensiero che tornava indietro nel tempo.
E tornai a chiedergli che cosa avesse fatto in quel periodo. Papà mi rispose con modestia: “Io? Che cosa vuoi che abbia fatto? Semplicemente quello che avrebbero dovuto fare tutti”. Massimo Capitani, figlio di Remo, della banda di Giuseppe Albano “Il Gobbo”

…sostare alcuni minuti in silenzio, riflettere su quello che è accaduto e su come sia potuto accadere, impegnarci davanti a quei nomi e a quei volti perchè i sacrifici, le sofferenze, i dolori, i lutti di quella generazione di scledensi e di italiani che combatterono il fascismo, vincendolo, non siano dimenticati, o peggio ancora, ridimensionati, banalizzati, ridicolizzati, distorti, riscritti, revisionati, infine negati, come qualche buontempone ogni tanto tenta di fare. Ma sopratutto impegnarci davanti a quei volti per far sì che nessuno si permetta di porre sullo stesso piano il sangue dei martiri con quello dei carnefici, il sangue di chi ha combattuto per la libertà, di chi ha vissuto per 20 mesi braccato come un animale dormendo nei fienili, nelle caverne, sotto le stelle, mangiando quel che si trovava o, il più delle volte, facendo un altro buco nella cintura, di chi ha visto bruciare la casa e ogni avere della sua famiglia, di chi ha visto uccidere i genitori, i fratelli, i figli, violentare la madre, le sorelle, di chi è stato incarcerato, bastonato, torturato, impiccato, caricato su un carro ferroviario per un viaggio di sola andata, con chi ha vestito la divisa della rsi, di chi, con l’arma abbietta della delazione, ha denunciato l’amico, il compagno di scuola, il collega di lavoro, il vicino di casa, il parente, di chi ha comandato e partecipato ad arresti, a rastrellamenti, a torture, a plotoni di esecuzione, di chi ha collaborato con gli apparati militari di una potenza straniera che si è macchiata del più turpe crimine nei confronti del genere umano.
Noi questo non possiamo permetterlo mai. Ugo De Grandis

Non ce la farete mai. Mattarelli, Renzidi insulsi, Berluschini vuoti che parlate di libertà, che fosse per voi sarebbe solo la libertà – citando Pertini – di morire di fame. La lotta di liberazione, il 25 aprile, i partigiani di ogni colore, sono nostri. Sono successi. Siamo noi, i loro figli e nipoti, che non abbiamo neppure più bisogno di ricordarvelo: siete in serie B, dal 25 aprile 1945, siete gli scarti dell’umanità nuova nata dalla vittoria contro il nazifascismo. Siete scoria. Potete dire o fare quel che volete, dedicare il 25 ai marò eredi della X Mas, non vi servirà a niente: tanto resterete quello che siete, immondizia della storia, povere oscillazioni statistiche di un movimento ineluttabile verso la vostra scomparsa. L’unica volta che potete parlare di Resistenza, è quando cambiate quella del boiler. Dietro di voi, solo risate. Solo compassione, che non sono più certi tempi, quando a calcioni avreste fatto il giro della piazza del paese. Se eravamo di buonumore, eh. Siate già contenti: i partigiani sono morti per permettere anche a voialtri di muovere, doppiati, le vostre bocche inutili.
Buon 25 aprile: a chi sa, e anche a chi non sa. Massimo Zucchetti

Vi chiedo solo una cosa: se sopravvivete a
quest’epoca non dimenticate.
Non dimenticate né i buoni né i cattivi.
Raccogliete con pazienza le testimonianze di quanti
sono caduti per loro e per voi.
Un bel giorno, oggi sarà il passato,
e si parlerà di una grande epoca e degli eroi
anonimi che hanno creato la storia.
Vorrei che tutti sapessero che non esistono
eroi anonimi. Erano persone, con nome, volto,
desideri e speranze, e il dolore dell’ultimo
fra gli ultimi non era meno grande di quello
del primo il cui nome resterà.
Vorrei che tutti costoro vi fossero
sempre vicini come persone che avete conosciuto,
come membri della vostra famiglia, come voi stessi…
Julius Fučík, giornalista, scrittore, antifascista comunista ceco, ucciso dai nazisti.

Ci sono solo due strade, la vittoria per la classe operaia, che è la libertà, o la vittoria per i fascisti, che significa tirannia. Entrambi i combattenti sanno cosa c’è in serbo per chi perde. Buenaventura Durruti

L’ho guardata spesso quella centrale elettrica. Io garzone muratore, bracciante di Villa Seta, partigiano vice comandante di Battaglione. Piantata in mezzo alle montagne per produrre energia. Guardandola capivo davvero per cosa stavamo lottando. Eravamo in armi contro la barbarie per salvare tutto quello che di buono c’è nell’essere umano. La libertà, certamente. Ma anche l’intelligenza, i sentimenti, l’ingegno, la fantasia e la gentilezza. Il lavoro, il progetto, la fatica. In poche parole: l’umanità. Nel mondo che sognavamo nessuna donna sarebbe dovuta mai finire in prigione, perché protestava contro la fame, come era successo a mia madre. Nessun bambino avrebbe mai dovuto trasformarsi in servitore e lasciare gli studi, come era successo a me. Abbiamo imbracciato un mitra per tutto questo. Abbiamo visto cadere i nostri compagni. Abbiamo difeso una centrale elettrica e il sogno di una centrale elettrica. Quello che era e quello che rappresentava. Lo abbiamo fatto non solo con le armi. Lo abbiamo fatto con le parole, i pensieri e le speranze. E quando le armi sono state posate il lavoro è continuato. Io ho fatto il Sindaco. Ho seminato valori, ho raccolto idee. Ho studiato e ho imparato ad amare quello che di bello la vita ci offre. Ho fatto il presidente dell’ANPI. Non mi sono fermato. Non sono mai stato un reduce. Me lo ero promesso mentre guardavo la centrale elettrica. Si ha sempre qualcosa da fare, da dire e da sognare quando si è partigiani.
Giuseppe Carretti “Dario”

Mio figlio si chiama Hans e l’ho avuto in carcere, quello di Barnimstrasse a Berlino. Mi hanno fatto partorire, me lo hanno fatto allattare e poi mi hanno uccisa. Hanno aspettato che io finissi. Poppata dopo poppata. Ero condannata a morte, ma allattare era un mio diritto di madre. Il potere è sempre stupido e preciso. Le regole naziste non ammettono eccezioni. L’apparenza prima di tutto, soprattutto quando la sostanza è sangue ed ignoranza. Anche mio marito è stato ucciso. In carcere. Prima di me. Suo figlio non lo ha mai visto. E io ho continuato a scrivergli, perché nessuno mi aveva informato della sua morte. Si sarà vergognato l’uomo della censura che leggeva quelle lettere? Non credo: pensava di fare solo il suo dovere. Ed è anche contro queste follia quotidiana e vigliacca che mi sono ribellata e che ho messo in gioco la mia vita. Contro questo nazismo tranquillo di centrini e soprammobili. Timbri e raccoglitori. Un nazismo che fa più paura dei panzer e delle sfilate, perché entra nel cuore e nella testa. Perché è fatto di gente normale come quella che ci ha tradito. Gente che forse non si è nemmeno sentita troppo in colpa. Noi eravamo la “Rote Kapelle” l’Orchestra Rossa. Passavamo ai sovietici informazioni su quando e dove colpire. Facevamo paura, perché dimostravamo che non tutti erano sfilate e centrini. Non tutti i tedeschi erano uguali. Non tutti i tedeschi erano nazisti. Facevamo paura, perché dimostravamo quanto i nazisti fossero deboli nella loro vuota ferocia. Per questo ho voluto un figlio, per questo sono stata orgogliosa di allattarlo. Rispondere alla morte con una nuova vita. Un’altra imprevista eccezione alle loro stupide regole.
Mi chiamo Hilde Coppi. Facevo la segretaria. Hilde Coppi

Ho capito che avremmo vinto quando ho visto disfare il primo materasso per recuperare la lana e trasformarla in un maglione per un partigiano. In quella casa fredda, tra donne che non conoscevo. Ho capito che era solo questione di tempo e che quelle dita non si sarebbero fermate mai più. Sono Polizzi Laura di Secondo. Tutti però mi conoscono come Mirka. Partigiana combattente. Gli occhi che guardate sono i miei, ma vorrei che in loro poteste rivedere gli occhi di quella donna o di Kira, di Bianca, di Volontà o di Lia. E di tutte quelle di cui non ricordo il nome. Eravamo così tante che i miei occhi forse non bastano. Eppure guardateli, perché dopo i maglioni sono venuti i guanti e dopo i guanti il cibo e dopo il cibo il rifugio durante i rastrellamenti. La guerra non si vince solo con le armi. I tedeschi ed i fascisti lo sapevano bene. Ma c’era qualcosa di più forte del loro terrore e tutti sappiamo come è finita. Noi non ci siamo fermate ai guanti. Abbiamo combattuto con le armi. E pensate che ancora qualcuno si stupisce. Come quel colonnello quando si è visto davanti una commessa che gli chiedeva di consegnare le armi agli antifascisti. Quella commessa ero io. Avevo 19 anni e il giorno prima ero salita sul monumento di Garibaldi a Parma per invitare le ragazze e i giovani alla lotta armata. Era l’8 settembre del ’43 e noi avevamo capito subito che la guerra non era per niente finita. Non ci poteva essere pace con i tedeschi e i fascisti nelle nostre città. Noi volevamo la libertà. Mica la sognavamo. La volevamo e basta. Con ogni mezzo necessario. E ci siamo riuscite. E se ci sarà sempre qualche uomo che si stupirà, noi sappiamo che troverà sempre una Kira, una Bianca o una Mirka sulla sua strada. Quelle dita non si sono davvero mai fermate. Laura Polizzi “Mirka”

Nel ’44-’45 e nel ’68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire – magari solo a livello pragmatico – cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline. P.P.Pasolini

Parlare di «Resistenza tradita» ha senso, oggi più che mai. Il pensiero antiautoritario che l’animava sembra sostituito – almeno nei vertici politici – dalla volontà di concentrare la decisione e il comando, congiunta a una crescente insofferenza per la democrazia e le istituzioni rappresentative. Quanto al progetto sociale, fortemente recepito dalla Costituzione, il suo abbandono progressivo, se non verrà efficacemente contrastato, sembra condurre alla sua totale negazione.
La ragione per la quale di «Resistenza tradita» non si parla o si parla poco è la medesima ragione per la quale la Resistenza è stata tradita: le potenti forze contrarie che fin dall’inizio hanno ostacolato (e talora fermato) l’attuazione della Costituzione, espressione della Resistenza, vogliono che l’argomento sia il più possibile ignorato. E certamente non mancano dei mezzi necessari a realizzare questo volere; il mezzo più potente, l’informazione nelle sue varie forme, nel complesso è abbastanza docile e spesso addirittura è nelle loro mani. Lorenza Carlassare

Comunque lo diciamo a tutti quelli che sono molto preoccupati: noi ci siamo sempre. Non siamo solamente i bigliettai del museo della memoria. Siamo sentinelle. Sbagliate molto a sottovalutarci. Anpi Pozzuolo

La Resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino. Giuseppe Dossetti

Non smettete mai di protestare, non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perchè il dissenso è un arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perchè anche il sapere è un arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai. Bertrand Russell

Poichè taluni leoni vegetariani continuano a parlare di una eccessiva indulgenza del governo della Repubblica, siete pregati di mandare telegraficamente i dati delle esecuzioni avvenute di civili e militari con processo e sommarie dal 1° ottobre 1943 in poi.  Mussolini

 Nel 1969 62 prefetti su 64 di prima classe, 64 su 64 di seconda classe, 241 prefetti su 241, 7 ispettori generali su 10, 135 questori su 135, 139 vicequestori su 139, avevano iniziato la loro carriera sotto il regime fascista. Tra tutti questi quadri solo 1 questore e cinque vicequestori sono stati tra il 1943 e il 1945 dalla parte della Resistenza. Angelo D’Orsi

Donne e uomini, a prescindere dal genere, vengono educati, formati, alla violenza o alla non violenza: nel percorso di ogni uomo e di ogni donna si registrano fattori ed eventi che predispongono e preparano a una scelta; ma è poi nella coscienza di ognuno che germoglia la scelta. Scegliere da che parte stare, in ogni tempo, è la questione cruciale che si pone ad ogni essere umano: in base a come la si risolve ci si colloca tra coloro che hanno scelto di restare umani e di costruire una società dove la dignità di ogni persona sia rispettata o tra coloro che hanno scelto di diventare disumani e di mettersi al servizio di un sistema dove la dignità viene calpestata e domina la sopraffazione. Con un ulteriore differenza: soltanto chi sceglie di impegnarsi per una società dove ci sia rispetto di tutti si fa custode della dignità e della vita anche del proprio avversario. Ercole Ongaro

La Brigata Nera, istituita dal duce esclusivamente per combattere il banditismo è lei stessa divenuta un gruppo di banditi a sovvenzione statale. Invece di essere un esempio per il popolo italiano, distrugge nella popolazione anche le sue ultime simpatie per il fascismo.
La brigata non è quindi una forza di ordine pubblico ma nel più schietto senso della parola costituisce un terrore per la pacifica popolazione italiana.
(Dal rapporto del comandante della gendarmeria tedesca di Treviso, 15 dicembre 1944)

Repubblichini – Se ne stanno in città, preferibilmente al sicuro, con le scarpe lustre, il ciuffo fuori del berretto. Quando vengono in rastrellamento, si fanno precedere dai tedeschi. Quando le buscano, i tedeschi li tolgono dai guai. Ci sono vari tipi di repubblichini. I vecchi fascisti delle squadracce. Quelli che si ritengono disonorati dall’armistizio. I filo tedeschi. Quelli che spasimano per le cause perse. Quelli che vanno sempre controcorrente. Quelli che desiderano semplicemente un’arma per sparare (ce ne sono molti anche dalla nostra parte). Quelli che sperano di arricchire. Quelli che hanno risposto ai bandi e che ora non trovano il coraggio di scappare . I razzisti. Gli spavaldi. Gli isterici. Gli stupidi. Quelli della “Muti” e delle “Brigate Nere” sono i più arrabbiati (e anche i più vigliacchi); quelli della “Decima” credono di appartenere ad un corpo scelto e amano dare spettacolo (aiutati dalle loro divise da operetta). Chi li ha battezzati “repubblichini” meriterebbe una statua. Non c’è espressione, infatti, che meglio dipinga la loro pochezza e viltà e goffaggine. Partigiano anonimo

Ciò che può compiere un partigiano è differente da ciò che può compiere un soldato di un reparto regolare. Chi crea è diverso da chi esegue. Chi fa volontariamente una cosa è differente da chi vi è costretto, chi persegue un ideale costruttivo non è uguale a chi soddisfa un precetto legale. Giorgio Bocca

 I partigiani

Non per ragioni di gloria
andammo in montagna
a far la guerra.
Di guerra eravamo stufi
di patria anche.
Avevamo bisogno di dire:
lasciateci le mani libere,
i piedi, gli occhi, le orecchie;
lasciateci dormire nel fienile
con una ragazza.
Per questo abbiamo sparato
ci siamo fatti impiccare
siamo andati al macello
piangendo nel cuore
con le labbra tremanti.
Ma anche così sapevamo
che di fronte ad un boia fascista,
noi eravamo persone
e loro marionette.
E adesso che siamo morti
non rompeteci i coglioni
con le cerimonie,
pensate piuttosto ai vivi
che non abbiano a perdere anche loro
la giovinezza.
Nino Pedretti (Al vòusi e atre poesie in dialetto romagnolo)

Se qualcuno, quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana, fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto essere chiamati davanti ai tribunali, per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso in faccia. Dante Livio Bianco

“Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertá , non come un colore qualsiasi sulla carta geografica…la patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertá e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori”. Giorgio Marincola “Mercurio” ucciso il 4 maggio 1945 a Stramentizzo da un reparto di ss in fuga.

E allora – disse il vecchio, – non ne perdonerete nemmeno uno, voglio sperare.
– Nemmeno uno, – disse Milton. – Siamo già intesi.
– Tutti, li dovete ammazzare, perché non uno di essi merita di meno. La morte, dico io, è la pena più mite per il meno cattivo di loro […] Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all’ultimo, li dovete ammazzare. E segna quel che ti dico ancora. Quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzerete solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle, non venitemi a dire che è un buon patriota. Beppe Fenoglio, Una questione privata, Einaudi, Torino 1986

Noi siamo di quelli che mettono le lacrime per la sorte di tutti gli esseri senzienti. Eppure, siamo quei medesimi che dicono: non solo è assurdo menare scandalo di fronte a vendette e regolamenti di conti, ma c’è da stupirsi che ve ne siano stati così pochi. Sono ammirevoli la fermezza e il senso di responsabilità dimostrati dalla stragrande maggioranza degli ex-combattenti partigiani. Wu Ming

Quando è finita la Resistenza? Grande domanda…non è finita il 25 aprile, il 29 aprile, il 2 maggio o il 9 maggio, la resa della Germania,…no, la Resistenza non è finita mai, perchè fintanto che un uomo opprime e sfrutta un altro uomo, fintanto che i diritti fondamentali, sanciti da quella Carta Costituzionale scritta con il sangue dei Partigiani, non saranno rispettati e continuo a ripeterli, il diritto al lavoro, ad una retribuzione dignitosa, all’istruzione, a una sanità efficiente, alla pensione, a una vecchiaia serena, al futuro per i figli, fintanto che questo non sarà rispettato sarà sempre valida e attuale la parola d’ordine che conclude quella bellissima epigrafe scritta da Piero Calamandrei in onore al camerata Kesserling: Ora e sempre Resistenza. Ugo De Grandis

La Rita more (Alla memoria di Rita Rosani, Medaglia d’oro alla Resistenza)
Conto ‘na storia de parole fonde
che restarà par sempre sora un monte:
‘na mama che no lassa i so butèi,
‘na sorela che resta coi fradèi.
Piantada salda drento ai so scarponi
la marcia Rita fra le vale e i monti,
la fa i sentieri più sicuri e sconti,
la ghe sbrissia ai todeschi fra le man.
E l’è pena rivada la stafeta
fra i partigiani del monte Comùn,
che càpita de corsa ‘na vedeta!
“Gh’è patuglie todesche che vièn su”.
Se scolta qualche cioco da distante:
“Butèi ghe semo” dise el comandante.
Cole bombe coi mitra nele man
I se cuacia par tera i partigiàn.
E dise el comandante: “Senti Rita,
vien avanti todeschi da ogni parte,
ma se te cori sùbito zo a drita
longo el progno, ghé tempo par salvarte.

“Spéssega Rita” dise un partigiàn
e ‘n altro el ghe fa segno de andatr via
e ‘n altro el la saluda cola man …
La tenaressa e la malinconia
splende sul viso bianco de ‘na mama;
la testa drita
la vose calma
dise la Rita:
“Vuialtri g’avì voia de schersàr”.
Salda piantada
nei so scarponi
drita la testa
la Rita resta.
“Vuialtri g’avì voia de schersàr”
e l’a pena finido de parlàr
che la mitraglia la ghe impiomba el cor.
Longa destesa
casca la Rita
le ponte in alto
dei so scarponi,
la man se gricia
sul cor spacado,
zo da la boca
el sangue core:
la Rita more
Na mama no la mola I so butèi,
na sorela la resta coi fradèi.
Egidio Meneghetti

Visi di ghiaccio dietro le imposte
e pianti d’agnello, là dal Barbiere.
Ora nona.
Il tempo si fermava sopra la piazzetta
e il demonio esalava il proprio respiro
-lugubre canto di morte-
in cuori duri , di pietra,
per il folle desiderio di Caino.
Sei alla volta!
Gli occhi spalancati,
le mani legate.
Sei alla volta!
Addosso al muro,
grandi e piccoli, fratelli disperati.
I fucili sparavano,
l’aria tremava, il sangue ancora caldo fumava.
Sui campi svuotati,
la campana seminava rintocchi di dolore.
La vita veniva sottratta
a carne viva, a carne ancora cara.
Sui corpi ancora caldi
risuonava forte il pianto delle madri.
Ora nona:
suonava la campana a Villamarzana.
Gianni Sparapan

“Non sei mica fascista?” mi disse.
Era seria e rideva. Le presi la mano e sbuffai. “Lo siamo tutti, cara Cate,” dissi piano. “Se non lo fossimo dovremmo rivoltarci, tirare le bombe, rischiare la pelle. Chi lascia fare e s’accontenta, è già un fascista.” Cesare Pavese

I giorni dopo il Vajont la gente era convinta che la tragedia dovesse essere un punto di partenza per una riflessione collettiva dalla quale partire per cambiare, per mettere in discussione rapporti e metodi. C’erano duemila morti ammazzati, dei quali tutti i poteri portavano una responsabilità diretta o indiretta. La Costituzione era stata messa sotto i piedi e si era rivelata incapace di garantire perfino la vita dei cittadini. Da più parti si proclamava, e si prometteva, che occorreva cambiare rotta. Invece, da allora, le compromissioni del potere politico con quello economico sono state infinite e scandalose. Si sono affinate nella degenerazione di ogni diritto, talchè la democrazia non ha più senso e reale consistenza in questo nostro paese governato da gruppi di potere palesi e occulti, dove uomini della politica e uomini dell’economia vanno sottobraccio a quelli della mafia, del terrorismo, della P2, per sostenersi a vicenda…..  Tina Merlin

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