Davide Conti è un giovane storico, ma al contempo già conosciuto e stimato scrittore. Tra il 2008 e il 2009 è stato collaboratore ausiliario del consulente tecnico della Procura della Repubblica di Brescia, Aldo Giannuli, nell’ambito dell’inchiesta sulla strage del 28 maggio 1974 e dal 2010 è consulente dell’Archivio Storico del Senato della Repubblica. Le sue principali pubblicazioni sono state: “Lo Stato repubblicano e Via Rasella” pubblicato all’interno del libro di Rosario Bentivegna “Achtung Banditen. Prima e dopo Via Rasella” (Mursia, Milano 2004); “Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio” (Odradek, Roma 2006); “L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della “brava gente” 1940-1943” (Odradek, Roma 2008). Nel 2010 con Ediesse ha pubblicato “Le Radici del sindacato. La fondazione della Cgil e le carte del congresso costitutivo del 1906”. Sempre nel 2010 ha curato il libro-intervista con Massimo Rendina “Cronache dalla prima Repubblica” e il volume “Leo Solari. I giovani socialisti nel crocevia degli anni ′40”, entrambi con Odradek. Con la stessa casa editrice ha pubblicato nel 2011 “I criminali di guerra italiani. Accuse, processi impunità”, infine nel 2013 “L’anima nera della Repubblica. Storia del Msi” (Laterza). Riguardo alla sua ultima pubblicazione gli rivolgiamo alcune domande fondamentali per capire il peso di questa nuova raccolta documentaria e soprattutto le ragioni delle sue scelte di approfondimento storico.
Qual è l’obiettivo che si è prefissato di raggiungere con questo libro?
La ricerca si è focalizzata su un aspetto centrale della Resistenza di Roma durante l’occupazione tedesca del 1943-1944: la guerriglia urbana, ovvero una dimensione specifica della lotta armata contro il nazifascismo che fu contestata, delegittimata e criminalizzata per la sua natura non solo da fascisti e nazisti ma anche da poteri istituzionali (Vaticano e monarchia) e dalle componenti moderate del Comitato di Liberazione Nazionale (Dc e liberali). Nell’Italia del dopoguerra, segnata dalle necessità della ricostruzione economica, politica e morale, la guerriglia urbana e la sua difficile eredità (connessa con la dimensione della guerra civile) fu esorcizzata o raccontata con pudore dagli stessi partiti antifascisti che la praticarono cioè il Pci, il Psi ed il Partito d’Azione.
Come ha articolato il volume?
Con un saggio introduttivo che ricostruisce le matrici storiche della guerriglia all’interno delle culture politiche azioniste, socialiste e comuniste, nonché una breve ricognizione dei principali autori che si sono occupati del tema fin dall’800. Poi ho dedicato un capitolo ad ognuno dei tre partiti (Pci, Psiup e PdA). In ultimo un’appendice sui «destini» dei partigiani nel dopoguerra e la difficile trasmissione dell’eredità della guerriglia nell’Italia repubblicana.
Quale fu l’estensione della guerriglia partigiana nella capitale occupata e quale ruolo ebbe la popolazione civile?
La guerriglia urbana nella Roma occupata dai nazifascisti nel 1943-1944 ha rappresentato un fenomeno diffuso in tutta la città, coinvolgendo in modo diretto alcune migliaia di persone ed in modo indiretto un numero di abitanti ancora maggiore. Roma venne divisa dai partiti della sinistra antifascista in otto zone operative trasformando la città in un campo di battaglia, accidentato e pericoloso per le truppe tedesche e fasciste, grazie alla solidarietà, al sostegno fattuale e all’appoggio ideale della popolazione romana. Questa collaborò con i partigiani in ogni quartiere della città, dal centro alle borgate, e permise ai Gruppi di Azione Patriottica comunisti e socialisti ed alle Squadre d’Azione Cittadina del partito d’azione di combattere contro un nemico molto più forte per numero, armamento e risorse.
Le principali contestazioni alla pratica della guerriglia riguardano da un lato la sua «irregolarità» e dall’altro i suoi effetti rispetto alle rappresaglie sui civili. Come affronta questi temi nel suo libro?
La Resistenza romana ruppe, con la guerriglia urbana, il monopolio terroristico della forza dell’esercito nazista sulla capitale. L’ordine pubblico tedesco sviluppò nella città la pratica della «guerra ai civili» che ha trovato con le stragi di Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Boves, Civitella Val di Chiana, (per citare solo alcune delle più note) la sua rappresentazione simbolica più forte. Le stragi di Pietralata, delle Fosse Ardeatine, de La Storta; i rastrellamenti di carabinieri, ebrei e civili; le camere di tortura a via Tasso, alle Pensioni «Oltremare» o «Jaccarino» non furono «rappresaglie» ma vere azioni terroristiche contro la popolazione a cui la guerriglia rispose come necessaria misura di Resistenza alla brutalizzazione nazifascista. La «irregolarità» della guerriglia fu quindi impostata come misura di Liberazione dall’occupante e si frappose alla presunta «regolarità» dell’esercito del III Reich che invece perseguì, in tutta Europa, le sue politiche di sterminio.
Quale fu il «peso» militare concreto della guerriglia durante l’occupazione tedesca di Roma?
Direttamente collegata con le forze Alleate la Resistenza armata venne organizzata in tutte le zone di Roma, realizzando centinaia di azioni di guerriglia e sabotaggio per tutti i nove mesi di occupazione. Il libro ricostruisce giorno per giorno tutte le azioni di guerra delle formazioni partigiane attraverso documenti clandestini dei partiti antifascisti, carte della questura fascista, giornali, documenti giudiziari e memorie orali dei protagonisti.
Perché ha scelto di trattare i tre partiti della sinistra del CLN?
Ho operato questa scelta seguendo due criteri fondamentali: La guerriglia urbana organizzata sistematicamente come misura militare della Resistenza al nazifascismo fu un fattore centrale che distinse comunisti, socialisti e azionisti dal resto dei partiti antifascisti del CLN (Dc, Democrazia del Lavoro e Pli) tanto da determinare la nascita della «Giunta Tripartita». Inoltre questi stessi tre partiti avevano una dimensione nazionale e facevano parte del CLN: due caratteristiche che li distinsero da un’altra formazione molto importante della Resistenza romana ovvero il Movimento Comunista d’Italia noto nella capitale come «Bandiera Rossa». Rispetto invece alla questione delle fonti, la ricerca è stata basata sulla comparazione e l’intersezione di una pluralità di documentazioni di origine e natura diversa.
Su quali fonti ha lavorato quindi?
Fonti interne, clandestine e non, dei partiti antifascisti; carte di polizia fascista e dei comandi tedeschi, materiali del fondo documentale del Ministero della Difesa «Riconoscimento qualifiche per le ricompense ai partigiani della Regione Lazio»; carte giudiziarie, stampa fascista e partigiana ed i nuovi fondi documentali privati versati dai membri dei GAP centrali di Roma (Bentivegna, Capponi, Fiorentini, Ottobrini, Calamandrei, Regard) che ho personalmente curato per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica.
Intervista di Carla Guidi, da http://www.abitarearoma.net/
dalla quarta di copertina:
Duecentosettantuno giorni di occupazione nazista, migliaia di caduti civili e militari, quasi quattromila partigiani inquadrati nelle organizzazioni armate di Pci, Psiup e PdA, centinaia di azioni di guerra e sabotaggio compiute quotidianamente. Questa è stata la Resistenza a Roma: una guerriglia urbana di nove mesi organizzata dai reparti d’avanguardia delle forze antifasciste, i Gap e le Sac, e resa possibile dall’appoggio della popolazione civile. La ricostruzione documentale degli eventi che l’autore offre, svincolata dalla retorica celebrativa, restituisce non solo il contesto storico in cui nacque la guerriglia nella città ma soprattutto le sue contraddizioni, i suoi slanci, i suoi limiti e la sua necessità militare, politica e morale. Le drammatiche vicende della «Città Aperta», iniziate con i seicento caduti a Porta San Paolo e chiuse dalla strage di La Storta, furono caratterizzate da una guerra partigiana che rifiutò l’ordine nazista su Roma e fece della Resistenza armata la leva storica «costituente» in grado di conferire ai cittadini un nuovo protagonismo all’interno della sfera pubblica, facendo della guerriglia urbana una delle radici fondamentali della Repubblica. All’interno del perimetro urbano della capitale, il Partito comunista, il Partito socialista e il Partito d’azione, si dotarono di reparti armati (i Gruppi d’Azione Patriottica e le Squadre d’Azione Cittadina) che diedero vita ad un conflitto asimmetrico, direttamente collegato con le forze Alleate, in grado di infliggere all’esercito nazista gravi danni strategici e pesanti perdite materiali. In ogni zona della città, centinaia di azioni di guerriglia e sabotaggio vennero realizzate dai partigiani delle formazioni di Pci, PdA e Psiup lungo tutti i nove mesi di occupazione, confliggendo apertamente contro l’ordine pubblico criminale dei nazifascisti gestito attraverso la pratica militare della «guerra ai civili» fatta di rastrellamenti e deportazioni (carabinieri, ebrei, quartieri popolari), di stragi (Pietralata, Forte Bravetta, Fosse Ardeatine, La Storta) e di “camere di tortura” (via Tasso e le Pensioni Oltremare e Jaccarino). La Resistenza romana ruppe, con la «irregolarità» propria della guerriglia urbana, il monopolio della forza esercitato dalle truppe «regolari» tedesche e rappresentò il fattore politico-militare più importante ed incidente della storia contemporanea della città. Le otto zone in cui i tre partiti della sinistra del CLN divisero la capitale divennero campo di battaglia accidentato e pericoloso per nazisti e fascisti grazie alla solidarietà, al sostegno fattuale e all’appoggio ideale della popolazione civile (elemento indispensabile alla sopravvivenza di qualsiasi guerriglia) che permise ai partigiani di ricevere protezione e collaborazione in tutti i quartieri della città e di combattere un nemico molto più forte per numero, armamento e risorse. Una rottura del monopolio della forza che produsse una reazione delegittimante da parte degli eserciti occupanti e che, se immediatamente richiama la differenza tra soldato in divisa e combattente in abiti civili, su un piano più ragionato deve essere collocato, da un lato nel quadro della «guerra totale» di cui gli stessi eserciti nazifascisti si resero unici protagonisti, e dall’altro dentro «la ragione forte» per la quale «un popolo che vuole conquistarsi la sua indipendenza non può limitarsi all’uso dei mezzi militari consueti».