
Gian Luigi Corso “Vittoria” (secondo da sx) davanti alla tomba del comandante Isidoro Giacomin “Fumo”
LA SAGA DI GIAN LUIGI CORSO
Il libro di Gian Luigi Corso Partigiano! Alpino e emigrante costituisce una preziosa testimonianza per comprendere, con gli occhi di chi l’ha vissuta, pezzi di storia fondamentali del nostro paese, come la lotta resistenziale durante l’occupazione nazifascista in Italia e l’emigrazione italiana negli anni del dopoguerra.
Nel suo libro, Gian Luigi ripercorre la storia della sua vita a partire dall’infanzia, vissuta in un piccolo paese del vicentino, Fonzaso, dove i bambini imparavano giocando per le strade non ancora asfaltate e congestionate dal traffico moderno, in una natura incontaminata, “in un paesaggio da sogno”, come ricorda il medesimo, dove tuttavia non mancavano i pericoli che l’incoscienza e l’inesperienza infantile attiravano.
I divertimenti erano rari ed eccezionali: il circo ed il cinema ambulante (il cinema “Zamperla” grazie al quale poté sentire belle canzoni quali “Violino zigano”).
Determinanti per la formazione e la crescita personale di Gian Luigi furono non solo le figure parentali come i nonni ed i genitori, ma anche quelle amicali, come il caro Bepi, col quale condivise, insieme al fratello Lorenzo, la lotta partigiana.
Dal nonno Gian Luigi imparò che la vita va vissuta nel rispetto di tre principi fondamentali: Dio, la Patria e la famiglia.
In nome di questi principi, nonostante un’indole ribelle e vivace, egli non si sottrasse mai ai propri doveri: innanzitutto frequentando costantemente la scuola (cosa rara per quei tempi), riuscendo a conseguire il diploma in un istituto tecnico.
Ancora adolescente inoltre, l’amore e la fedeltà per il proprio paese, allora occupato dai nazifascisti, in seguito all’armistizio del 1943, lo spinse a contribuire alla liberazione di esso: fu così che il 24 luglio del 1944, giorno del suo diciassettesimo compleanno, fuggì di casa e insieme ai suoi amici Bepi e Mario Balestra si incamminò verso le Vette Feltrine, per raggiungere Pietena, la sede del comando della Brigata “Gramsci”, il cui comandante era Paride Brunetti, nome di battaglia “Bruno”, originario dell’Umbria.
Gian Luigi prese il nome di “Vittoria” e venne mandato, di lì a poco, a combattere in territorio trentino all’interno della Compagnia “Gherlenda”, comandata da un giovane ventitreenne di nome Isidoro Giacomin, “Fumo”, sottotenente del 7° Alpini del Battaglione Feltre.
All’interno della compagnia, Gian Luigi, insieme agli altri compagni di battaglia, svolse azioni di approvvigionamento di viveri e di ostacolo alle forze di occupazione.
Da ricordare l’esemplare presa della Caserma del CST (Corpo di Sicurezza Trentina) a Castello Tesino, avvenuta il 15 settembre del 1944, in seguito alla quale i partigiani del “Gherlenda” riuscirono a conquistare un ingente bottino di armi, facendosi elevare dal comando feltrino a Battaglione.
Dell’impresa ne parlò anche Radio Londra, dando ad essa una risonanza mondiale.
Il giorno dopo, gli occupanti nazisti operarono un rastrellamento a Costabrunella, sede del comando del “Gherlenda”, nel quale perse la vita il comandante “Fumo”.
Il protrarsi dei rastrellamenti tedeschi, nell’autunno del 1944, costrinse il battaglione a dividersi in tre gruppi più ridotti: Gian Luigi rimase all’interno del gruppo che prese il nome di battesimo del defunto comandante “Fumo”: “Giacomino Dorino”, il cui reparto si spostò verso Canal San Bovo (zona orientale del Trentino), in una casera diroccata.
Di quei giorni, Gian Luigi ricorda la tragica disavventura avvenuta presso la strada che conduceva a Passo della Gobbera, nel corso della quale perse due dei suoi compagni, “Tomori” e “Gemma”, nel tentativo di fuggire ad una imboscata tedesca.
Di quella tragica disavventura Gian Luigi sente ancora forte il peso della propria responsabilità, come egli stesso afferma:
“Dopo settant’anni sento ancora la responsabilità per essere incappati in quell’imboscata. Io ero il comandante di quella pattuglia e, come tale, era mio dovere proteggere i miei compagni”1.
Nell’inverno del 1945, il gruppo “Giacomino Dorino” si smobilitò per ordine del suo comandante “Marco”.
Prima ancora, era stato sciolto anche il comando “Gramsci” e smobilitate tutte le forze del feltrino.
Non rimaneva che tornare a casa.
Tornato in paese, dopo un’estenuante e lungo cammino dalle montagne del Trentino fino a Fonzaso, sua madre gli raccontò di essersi recata a piedi, il giorno prima, insieme ad un’amica a Castello Tesino, percorrendo in un’unica giornata, ben 30 chilometri a piedi.
Emerge dal suo libro la figura di una madre infaticabile e coraggiosa:
“Mamma, con grande coraggio, volle vedere molti nostri compagni fucilati e caduti, per potersi accertare che fra loro non ci fossero i suoi figli. Vide gli incendi delle case dei nostri compagni e la fucilazione dei loro genitori. Solo allora seppi ciò che era successo nella zona durante la nostra assenza”.
Reinserirsi nella vita del paese significò per Gian Luigi e i suoi compagni partecipare ai lavori di fortificazione ordinati dalla Todt, “società tedesca paramilitare che aveva l’appalto di tutti i lavori di fortificazione ed aveva piena facoltà di reclutare tutti i cittadini abili al lavoro anche contro la loro volontà”2.
Nell’inverno del ’45, Gian Luigi ebbe l’opportunità di riprendere la lotta partigiana ma non volle disattendere il proclama del generale Alexander, comandante in capo degli Alleati sul fronte italiano, che invitava a sospendere momentaneamente la lotta.
Fonzaso venne liberata il 2 maggio 1945, quando gli alleati dell’88 Divisione della Quinta Armata del Generale McClark entrarono in paese.
Era l’inizio di una nuova vita per tutti.
Come ricorda egli stesso:
“Pian piano la vita riprese il suo ritmo e, nonostante la grande distruzione materiale e morale, la nazione si incamminava verso la ricostruzione”3.
Ma la ricostruzione non fu immediata.
Molti giovani dovettero emigrare dall’Italia in cerca di un lavoro e di un futuro dignitoso e sicuro per sé e per le proprie famiglie.
Così fece anche Gian Luigi che, pur addolorato di lasciare la sua casa e la sua “adorata Patria”4, seguì il consiglio del fratello Lorenzo che nelle sue lettere alla madre chiedeva di raggiungerlo in Brasile.
Fu così che il 18 dicembre del 1950 Gianluigi, insieme alla madre e alle sorelle, si imbarcò a Genova sulla nave “Giovanna C.”, “con le lacrime agli occhi ed un’angoscia che ancora non riesco a descrivere”.5
Tale profonda e angosciante nostalgia che in Brasile si traduce con “saudade” lo spinse pochi anni dopo a rientrare in Italia, ma fu solo un breve periodo, dopo il quale capì che la sua vita doveva riprendere la direzione del Brasile.
Fu così che si stabilì definitivamente a Curitiba, dove conobbe e nel 1962 sposò sua moglie Marlene (alla quale egli ha dedicato un’importante presentazione nel suo libro) e dove si cimentò sempre in lavori innovativi e in produzioni inedite, come la produzione di pavimenti magnesiaci, del quale è stato l’unico in Brasile e dei rivestimenti plastici di cui è stato il primo.
Da tredici anni Gian Luigi Corso è in pensione e ha raccolto una parte del suo tempo per scrivere a noi questa preziosa ed educativa testimonianza della sua vita.
Grazie Gian Luigi!
1Gian Luigi Corso, Partigiano! Alpino e emigrante, Curitiba, SOMMO Editora Ltda, 2014, p. 64.
2Ivi, op. cit., p. 66.
3Ivi, op. cit., p. 69.
4Ivi, op. cit., p. 81.
5Ibidem.
Questa è la recensione del libro di Gian Luigi Corso “Partigiano! Alpino e emigrante” scritta da Antonella Di Luoffo.